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8/10

AKPHAEZYA - Anthology IV: The tragedy of Nerak Written by  Fabrizio Agosti
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AKPHAEZYA - Anthology IV: The tragedy of Nerak

La follia ha ragione di esistere senza il genio? E soprattutto il genio deve per forza essere totale o può essere considerato tale anche se si manifesta a tratti? Tutto questo preambolo per introdurre l'ultimo lavoro dei francesi Akphaezya, band francese dedita ad un metal avanguardistico (termine che ormai vuol dire tutto e niente) che incorpora elementi gothic, death, jazz e stoner, giusto per citare i più evidenti. Tutto molto bello, sperimentale, ben suonato e cantato ma abbastanza discontinuo. "Anthology IV" è un vero e proprio viaggio sulle montagne russe in cui si passa agevolmente da brani che sono delle boiate pazzesche ad altri che fanno cadere la mascella. Gran parte dei momenti più riusciti dell'album sono evidentemente quelli in cui la personalità della frontwoman Nehl Aëlin, compositrice raffinata e ugola da usignolo, prende il sopravvento e trascina i restanti membri sulla strada dell'innovazione e della libertà artistica. Nehl è una jazzista nata ed infatti a mio parere quando gli Akphaezya si gettano sulla via della contaminazione alternando momenti dolci e quasi burlesque a sferzate più consone al metal si toccano vette altissime. Parlo ad esempio di un brano come "Húbris", praticamente una suite vista la sua lunga durata, in cui i francesi riescono a cambiare registro e umori in continuazione, unendo parti jazz in cui il lavoro di basso e batteria viene magistralmente enfatizzato a mitragliate improvvise death ed un finale quasi doom. Quando il quartetto invece prova a fare cose un po' più semplici come in "A slow vertigo", brano decisamente troppo lungo che va ad abbracciare quel filone gothic/epic tanto caro ad After Forever e cloni vari, i risultati sono fiacchi e deludenti. Molto meglio allora cercare una strada personale come la fantastica "Utopia", pezzo tutto danzereccio e guidato da una linea di basso ancora una volta strepitosa in cui gli Akphaezya si abbandonano ad atmosfere gitane in levare tanto care in passato a maestri della patchanka come Mano Negra. Strepitoso anche "Genesis", uno dei brani più pesanti e guitar-oriented dell'intera produzione, in cui a sopresa si affaccia anche lo stile slabbrato e southern di Zakk Wilde tra le influenze dei francesi e Nehl abbraccia un registro canoro decisamente più energico ed aggressivo.
La produzione è, a parere mio, semplicemente perfetta, cristallina e potente ma non eccessivamente pompata come in tante recenti produzioni di band con voci femminili. Soprattutto si ha la certezza che tutto l'album sia stato suonato dai musicisti senza l'aggiunta di trucchetti o artifici vari. E, con i tempi che corrono, non è cosa da poco. Due parole anche per il concept dell'album, ovvero una tragedia greca inventata di sana pianta dal chitarrista Stephan, ed il bellissimo e curatissimo packaging che accompagna il disco.
Superato lo scoglio dei primi due brani non proprio memorabili, questo "Anthology 4" si rivela un album veramente buono, intricato ma accessibile e fruibile anche da chi non vive solo di pane ed avanguardia.